Pasqualina e la sua storia di donna “dissonorata”, in una terra dove i sentimenti e le vicende umane si scontrano con le convenzioni che portano all’emarginazione. L’ultimo e premiato lavoro di Scena Verticale approda al teatro ITC di San Lazzaro
“Sungu ‘na guagliona e quannu passu mìanzu i genti agghia teni ‘a capa vasciata fa chi cuntu i petri pi ‘nterra”.
A parlarci è Pasqualina, pastorella calabrese che confida al pubblico la sua storia di ragazza tragicamente punita perché dissonorata, rimasta incinta contravvenendo alle leggi non scritte dell’onore e della dignità. Pudicamente seduta in scena, accompagnata unicamente da contrappunti musicali che scandiscono le fasi della storia o che addirittura si sostituiscono al racconto, laddove la parola non può o non vuole arrivare. Una parola che è resa dallo strettissimo dialetto calabro-lucano assai ritmica, fino a divenire dolce nenia, permettendo anche allo spettatore poco avvezzo a certe sonorità di cogliere le sfumature principali della modulazione di toni e significati.
Eppure sotto quel modesto vestitino scorgiamo abiti maschili, come a ricordarci che sono memorie trasmesse da un uomo, uno straordinario Saverio La Ruina, capace di tradurre una vicenda femminile che parla di storie universali in una partitura di gesti assorbiti eppure tanto evocativi. Non a caso vince il premio Ubu sia come miglior attore che come miglior testo italiano, evidenziando in tal modo la peculiarità della ricerca drammaturgia di Scena Verticale, volta a dare grande dignità a tutte le sfumature del proprio dialetto, lingua di una terra tanto amata quanto difficile da vivere, allora come adesso, soprattutto per chi lotta da tempo per fare e far conoscere lì del buon teatro.
Elisa Cuciniello
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