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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


Direttore: Massimo Marino

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mercoledì 16 aprile 2008

La memoria del luogo universale

STOA, Pro Loco Isto


Secondo appuntamento con i balli proposti dalla Stoa nella stagione della Soffitta. Pro Loco Isto rappresenta l’ultima creazione della scuola cesenatica, una produzione che vede la partecipazione di un numero sempre maggiore di ragazzi a questo ballo che forse è un congedo. Si chiude, infatti, un ciclo di lavoro portato a termine dopo quattro anni, con tanto di festa danzante finale, grazie alla dj set di Demetrio Castellucci. A noi spettatori trascinati in scena, non resta che sperare che tutto questo non sia un addio.

All’inizio è ancora uno spazio vuoto ad attendere le truppe di ragazzi, questa volta una trentina, che avanzano nella luce della sala, mentre scandiscono il ritmo d’entrata cantando note che si concretizzano in una misura; misurazione dei passi, ripetuti, insistiti nel punto, unità minima definita dall’ampiezza dei singoli piedi. La voce libera l’energia che il corpo spinge contrariamente verso il basso: il movimento vocale partecipa, quindi, con la sua trasversalità commentando il piano orizzontale da cui la massa non può sollevarsi. La ripetizione dei gesti, dei costumi (ognuno, infatti, indossa una camicia bianca, kilt e scarpe di cuoio) dà forma a immagini che continuamente si creano e si disfano, attraverso una libertà oggettiva che, non intaccando in alcun modo la massa totale dei corpi, ne esalta e distingue le diverse specificità, di individui come di danzatori. La coralità si conferma come carattere fondante di un ballo in cui i singoli movimenti sono legati insieme dal ritmo, collante primordiale, e da precise regole interne. Ma al contempo emergono, dall’omologazione superficiale necessaria, le differenze: sono sfumature di colore, sono le personali interpretazioni, sono gli sguardi carichi di peculiari emozioni. Si stagliano dal coro delle guide che si alternano nell’indicare cambiamenti di direzione e nel ricordare i passi, attraverso la voce o anche solo col movimento.
Il ballo diventa l’espressione di una ricerca personale del proprio spazio vitale, di quel legame col terreno-territorio che attira a sé, forte come una calamita, determinando la presenza scenica dei corpi, per cui il baricentro si sposta inevitabilmente in avanti, le ginocchia si flettono e la testa si fa pesante. Nei movimenti collettivi che il gruppo compie, si generano scintille di vita autonoma che distaccandosi affermano la propria condizione di diversità: non esiste l’errore, ma lo sbaglio è un movimento che arriva inaspettato e che può condurre ad altro, innescando meccanismi diversi e individuali, per poi recuperare la traiettoria collettiva. Un doppio movimento che cerca di dar forma a una coreografia universale, in cui ritorna l'importanza delle origini, dello spazio, perchè è il ballo stesso, in fondo, a dar vita ai luoghi.




Giulia Tonucci

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