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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


Direttore: Massimo Marino

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mercoledì 2 aprile 2008

Conoscere e sognare vuol dire cambiare


Dopo la rappresentazione di Leonce und Lena di Georg Büchner si sono incontrate due esperienze di teatro con i pazienti psichiatrici: quella della Compagnia Lenz Rifrazioni di Parma e quella del regista Nanni Garella, animatore dell’associazione Arte e Salute Onlus di Bologna. Con il coordinamento di Cristina Valenti.

Venerdì 29 febbraio, presso l’Auditorium dei laboratori DMS, si incontrano e si confrontano gli esponenti di due compagnie teatrali che hanno messo al centro del proprio lavoro l’esperienza con attori o non attori provenienti da realtà disagiate.
Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, rispettivamente regista e drammaturgo di LENZ RIFRAZIONI, da una parte, Nanni Garella, direttore del progetto di collaborazione fra l’associazione ARTE E SALUTE ONLUS e la cooperativa Nuova Scena - Teatro Stabile di Bologna, dall’altra, espongono le proprie metodologie di lavoro, o meglio le proprie modalità, coordinati da Cristina Valenti, con la partecipazione di Massimo Marino e l’intervento di Claudio Meldolesi.
Cristina Valenti introduce la prima differenziazione esistente fra le due teatralità prese in considerazione, definendo queste esperienze non comuni e diffuse, ma di eccellenza all’interno dell’intero panorama europeo: la macro distinzione cui fa riferimento riguarda lo scopo, esistendo un teatro che opera nel campo del disagio, che si propone come obiettivo l’esito finale, e un teatro che si fa mediatore, un teatro che ha come fine la terapia attraverso lo strumento artistico. L’humus su cui si innestano il lavoro di Maestri-Pititto e quello di Garella è nutrito dalla convivenza e collaborazione dei due ambiti teatrale e terapeutico-sanitario. LENZ RIFRAZIONI lavora da otto anni con un gruppo di attori ex lungo degenti psichici del manicomio di Colorno (PR), proponendo esperienze laboratoriali ed esiti performativi, in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale dell’AUSL di Parma. Nanni Garella, dal 1999, porta avanti il progetto ARTE E SALUTE con alcuni pazienti psichiatrici, cooperando con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL di Bologna Nord. E’ sottolineato, inoltre, il dato di continuità del lavoro che investe le due compagnie: non si tratta di esperienze brevi, occasionali, ma di veri e propri percorsi formativi, affiancati da medici psichiatri, che hanno una durata temporale che di solito copre l’anno di attività, per poi proseguire successivamente. L’intervento di Cristina Valenti si conclude su una specificazione: il teatro proposto e discusso da LENZ e da ARTE E SALUTE cui stiamo facendo riferimento è solo un aspetto dell’intero lavoro teatrale che le due compagnie producono, in quanto sia Maria Federica Maestri sia Nanni Garella espongono un’estetica teatrale che si allontana dall’ambito del disagio.
Dopo la visione di qualche minuto del video degli Atti Unici di Harold Pinter, spettacolo realizzato da Nanni Garella nel 2004, il regista prende la parola per delineare la sua esperienza, partita nel 1999 e conclusasi dopo cinque anni di lavoro, con l’obiettivo di realizzare e produrre spettacoli teatrali professionali con gruppi di pazienti con patologie gravi, selezionati attraverso un colloquio, che avevano frequentato un corso di formazione per allievi attori e uno per arti burattinaie Persone che spesso erano in difficoltà ad esprimersi interpretavano Pirandello e Shakespeare, con fantasia e competenza rese più acute dallo spessore delle loro esperienze umane. Non si è solo cercato di integrare teatro e terapia, ma il lavoro è stato condotto con il fine di rendere drammaturgicamente valida la presenza scenica legata al terreno del disagio. Costa fatica e lavoro questo progetto, sottolinea Garella, ma offre dei risultati notevoli: la tecnica d’improvvisazione e lo studio del personaggio, l’analisi del testo prima che esso sia imparato a memoria, il trasferimento da parte degli attori-pazienti della personale esperienza all’interno del lavoro drammaturgico e creativo ha permesso l’apprendimento di dati tecnici basilari ma essenziali alla costruzione di un modus operandi proprio e lontano da una metodologia programmata. La collaborazione con l’Arena del Sole ha significato, secondo le parole del regista: “far entrare dalla porta del teatro più importante di Bologna un gruppo di matti”, un pezzo della nostra cultura che non va emarginato. Tutto ciò ha permesso ai pazienti psichiatrici di essere scritturati come attori professionisti. Il passaggio non è stato immediato e scontato, ma ben presto si è palesata la capacità di queste persone, arrivate all’interno del gruppo in condizioni estreme – alcuni con una grave forma di analfabetizzazione di ritorno – di reggere il confronto con gli attori sani; questa collaborazione ha permesso loro di segnare punti di forza all’interno dell’opera di guarigione che stavano perseguendo. “Più precisamente, l’obiettivo di ARTE E SALUTE ONLUS è quello di ricomporre l’identità sociale, l’autonomia, la contrattualità delle persone sofferenti per trasformare le loro condizioni di vita attraverso il lavoro in campo artistico e intellettuale. Un lavoro vero, che realizzi prodotti interessanti non solo per chi li fa ma anche per un pubblico vasto, e che possa diventare fonte di occupazione per le persone che lo praticano”. L’intervento di Nanni Garella termina con l’augurio di poter continuare a essere socio di ARTE E SALUTE ONLUS, ma la speranza maggiore è riposta nella possibilità che la compagnia vada avanti con le proprie gambe. Se è vero – continua – che il teatro oggi più che mai ha bisogno di integrazione culturale, è necessario aprire le porte a varie diversità, ma bisogna anche che i risultati vengano depositati per essere fruibili da tutti coloro vogliano accostarsi a un teatro che ha insita la responsabilità sociale.
Interviene Massimo Marino a sottolineare la presenza della compagnia di Garella all’interno del panorama teatrale e culturale italiano; un’associazione che si è costituita come ONLUS e che, per raggiungere i propri scopi organizza spettacoli teatrali e di arti burattinaie; ha una testata radiofonica, Psicoradio; programma eventi di carattere culturale, conferenze, convegni e mostre; promuove interscambi culturali per intensificare i rapporti con le istituzioni pubbliche e private che svolgono esperienze analoghe. Attualmente sono coinvolti nel progetto quattro gruppi di allievi: Teatro di prosa (Compagnia Arte e Salute, 18 allievi); Teatro di figura (burattinai) e Teatro ragazzi (Compagnia Senza-Sipario, 12 allievi); Psicoradio (redattori radiofonici, 12 allievi).
Prima di passare la parola all’altra compagnia protagonista della giornata, Cristina Valenti sente l’esigenza di evidenziare un aspetto di cui Garella ha parlato in precedenza, ossia il rapporto fra attori psichiatrici e attori professionisti, collaborazione presente anche all’interno di LENZ RIFRAZIONI; cooperazione resa possibile in primis dalla continuità e che ha permesso la professionalizzazione di queste persone, in grado, con il tempo, di riuscire a collaborare autonomamente al fianco di attori professionisti. E’ una prospettiva che deve rientrare nel futuro di esperienze come queste, al di là dell’occasionalità con cui le prime compagnie si sono cimentate con la diversità all’inizio degli anni novanta.
Francesco Pititto, drammaturgo della compagnia LENZ RIFRAZIONI, costituitasi nel 1985, presenta uno spezzone del video dello spettacolo costruito su La morte di Danton di Georg Büchner, che va a chiudere la trilogia inaugurata da Woyzech e da Leonce und Lena (presentato, quest’ultimo ai laboratori DMS). Sottolinea l’importanza del luogo della rappresentazione: è la reggia di Colorno (PR) al cui interno esisteva il manicomio dove quegli stessi attori avevano trascorso trenta anni della propria esistenza. Dopo la visione del video, a intervenire è Maria Federica Maestri, regista della compagnia, la quale, nella commozione, afferma quella che è la sua personale visione del lavoro, definendolo come “un rapporto duro e violento con il prossimo, un rapporto di contiguità sensoriale con la fine”; si autodefinisce archeologa, perché va dentro alla rovina, alla ricerca non del colore, ma della traccia del colore. Le parole d’ordine sono: decostruzione, decrescita, decreazione. I pazienti permettono questa ricerca, in quanto appartengono a un altro tempo, il tempo del castigo all’innocente; in quanto sono testimoni diretti di un martirio durato venticinque, trenta anni. Tornare a Colorno, all’interno di quel luogo che li aveva imprigionati per tutti quegli anni, è stata un’esperienza rivoluzionaria, intesa come rovesciamento del destino. Il lavoro che Maria Federica Maestri conduce con i pazienti ex lungo degenti psichici è definito come un “capriccio, inteso come un azzardo del movimento fine a se stesso; automutilante, perché non ha futuro, ma l’unico futuro possibile è legato all’istante”. Il buon fine del lavoro risiede nel rovesciamento. Quelli che in scena diventano attori, in realtà sono vecchi adolescenti mai cresciuti, chiamati a disegnare un corpo e una mente che non esisteranno più. Le messe in scena non sono tratte da un testo, ma sono tratti del testo, percezioni, miraggi, variazioni. Pititto, leggendo qualche riga tratta dalla tetralogia büchneriana, afferma che ci sono molti punti in comune fra l’esperienza di LENZ RIFRAZIONI e quella di ARTE E SALUTE, ma le soluzioni adottate risultano differenti. Il suo lavoro drammaturgico prevede di partire da un testo, insieme agli attori, per giungere alla stesura di un copione personale, “da conservare con cura come se si trattasse di un gioiello di famiglia”. Lo spettacolo rappresenta un breve frammento rispetto alla teatralità intesa come work in progress: la drammaturgia è pre-durante-post l’esito finale. La parola detta è un tutt’uno con il corpo e con la psiche di chi l’afferma; tutto si mescola al testo, anche la follia, anche la speranza.
Il pubblico interviene chiedendosi se, attraverso la terapia con il teatro, i pazienti abbiano avuto dei miglioramenti dal punto di vista della salute psichica e fisica. Maestri risponde alla domanda riallacciandosi al discorso precedente legato al termine “decrescita”: non si tratta di decrescita biografica – afferma – ma tutt’altro. Il lavoro artistico ha permesso ai pazienti di recuperare istinti, sogni, tutto il copione personale fisico, psichico, dei desideri. Ovviamente, non si parla di guarigione, bensì di riapertura, di aumento delle prospettive di azione al di fuori dell’adempimento dei comportamenti quotidiani, legati al lavarsi, vestirsi, mangiare, ripetuti e scanditi da un ritmo preciso. Il progetto dura dodici mesi ed è portato avanti da otto anni; le condizioni di salute dei pazienti spesso sono gravissime, e il lavoro artistico contribuisce al miglioramento della qualità delle loro vite. Garella, dal canto suo, cerca di chiarire la domanda apportando dei dati: su quindici pazienti, all’inizio dell’attività, ognuno di loro aveva due o tre ricoveri all’anno; a distanza di sette anni, il numero dei ricoveri totale è sceso a tre o quattro; l’uso dei farmaci è stato notevolmente ridotto; ciò ha permesso agli organizzatori di responsabilizzare il lavoro dei pazienti, prevedendo per loro una possibilità di guadagno (400, 500 euro al mese per i mesi in cui sono scritturati) che, a livello indiretto, ha permesso loro di acquisire una centralità all’interno della famiglia, ove esistente, o comunque di dare più dignità alla propria vita. I pazienti vengono sottratti a una pura assistenza, nella quale si adagiano, per essere messi a contatto con difficoltà insite nel lavoro con gli altri; la finalità massima consiste nel permettere loro di uscire dal vortice, dal circolo del ricovero; ciò comporta una rivoluzione, in quanto non solo sono alleviate le sofferenze dei singoli, dal punto di vista fisico e psichico, ma ne trae vantaggio l’intero dipartimento di salute mentale.
Claudio Meldolesi prende la parola evidenziando la parentela esistente fra i gruppi che lavorano con gli psichiatrizzati: è il teatro a creare l’humus, il terreno adatto alla pacifica convivenza fra i diversi; non a caso, “il matrimonio fra gay è possibile sulla scena, non in società”. Riunirsi per scelta o vocazione teatrale con persone disagiate, imparando da esse, oltre che insegnando loro qualcosa, è l’elemento primario e imprescindibile da tenere in considerazione nell’analisi delle compagnie che operano nel campo del sociale. Non si tratta di un teatro conformato, che omologa gli attori psichiatrizzati, ma che persone con gravi forme di malattia siano diventati dei professionisti del teatro è qualcosa di eccezionale, che non va assolutamente sottovalutato. Riuscire a vedere l’arte in questa condizione è eccezionale. “Le scene fanno bene”, conclude Meldolesi.L’incontro sul teatro delle diversità sta giungendo a termine. Massimo Marino ripercorre sinteticamente la storia dei manicomi, soffermandosi in particolare sull’importanza cha ha avuto e continua ad avere, essendo tutt’ora fonte di dibattiti, la legge 180 del 1978, meglio nota come legge Basaglia, che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Il lavoro, in questo caso il lavoro artistico, continua Marino, permette a chi si ritrova in una situazione di disagio psichico di essere reinserito in un tessuto di rapporti sociali. E se pensiamo che non è passato molto tempo da quando queste persone venivano definite pazze nell’accezione negativa, alla stregua di criminali, ci rendiamo conto che qualche passo in avanti è stato fatto. Basterebbe, quindi, conoscere il mondo per poterlo cambiare.
Maria Pina Sestili

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