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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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venerdì 9 maggio 2008

Intervista con Stefano Masotti

La “Casa dei Risvegli Luca de Nigris” è un centro riabilitativo d’eccellenza inaugurato a Bologna nel 2004, il primo in Italia per la cura di pazienti con esiti di coma. Parte integrante del progetto sperimentale è la pratica teatrale, usata come strumento terapeutico, riabilitativo e sociale.
Ne parliamo con Stefano Masotti, regista della compagnia teatrale “Gli Amici di Luca”.


Come nasce e come si sviluppa il rapporto tra la Casa dei Risvegli e la compagnia?
Entrambe le realtà nascono da una vicenda personale che è la storia di Luca e dalla reazione alla sua morte dei genitori, Fulvio De Nigris e Maria Vaccai. Dopo la sua morte infatti è sorta l’associazione “Gli Amici di Luca”, la cui iniziativa aveva come primo obiettivo quello di costruire il centro che a Luca era mancato. Prima che fosse fisicamente inaugurata la Casa dei Risvegli, l’associazione aveva scelto di utilizzare il teatro come opportunità di creazione di momenti di partecipazione e di reinserimento sociale. L’esperienza laboratoriale del 2003 ha così portato alla formazione di una compagnia teatrale, che ha ora sede all’interno della Casa.

Qual è il tipo di disagio di cui vi occupate e quali sono le vostre modalità di approccio nei confronti del paziente?
Da un lato realizziamo un intervento in situazione terapeutica, con persone ancore ospedalizzate, cioè pazienti ospiti della Casa: questo è un intervento clinico sul singolo. La Casa dei Risvegli è un centro per pazienti in stato di coma post-acuta, ossia in una condizione clinica detta “stato di minima coscienza” o “di minima reattività”. Noi interveniamo quando le condizioni cliniche sono stabili e utilizziamo il teatro per cercare di ottenere gli stessi risultati delle figure sanitarie, perseguendo l’obiettivo del recupero funzionale dei soggetti in uscita dal coma. Dall’altro realizziamo un intervento di tipo sociale: i ragazzi della compagnia hanno infatti già terminato la fase di riabilitazione ufficiale. Sono quindi due modalità di approccio differenti perché è diversa l’utenza. Il lavoro con la compagnia ci ha permesso di constatare nel tempo risultati molti positivi. Attraverso un questionario che mirava a verificare l’impatto effettivo dell’intervento teatrale sulla percezione che i ragazzi avevano di loro stessi, abbiamo potuto valutare scientificamente cambiamenti radicali, sia rispetto alla modificazione della percezione del sé, sia rispetto al recupero di alcune attività funzionali come il linguaggio, l’equilibrio, la deambulazione e la memoria.

Da chi parte la proposta di utilizzo del teatro?
Prima che esistesse la Casa dei Risvegli, l’associazione dava sostegno a diverse famiglie nel territorio bolognese. “Gli Amici di Luca” avevano proposto l’esperienza teatrale ai soggetti che conoscevano e che nel tempo avevano seguito. Da quando esiste la Casa dei Risvegli, il teatro è un’opportunità di comunicazione e di reinserimento sociale proposta a tutti i soggetti in uscita che offre loro una continuità nel percorso riabilitativo.

In riferimento al lavoro della compagnia, prevale un uso terapeutico o artistico del teatro?
Teatro e terapia sono concetti antinomici. Per parlare di un impatto terapeutico del teatro occorrerebbe prima di tutto valutarne i risultati effettivi: dire a priori che il teatro è terapeutico è voler fare demagogia. Detto ciò, noi abbiamo sicuramente l’obbligo prioritario di considerare il soggetto con uno sguardo riabilitativo, proprio per il fatto che iniziamo il nostro intervento in un contesto in cui la dimensione clinica è quella a cui dobbiamo porre attenzione. Allo stesso tempo, per il lavoro con la compagnia non possiamo più parlare di intervento clinico, ma artistico. Quindi tentiamo di far coesistere le due cose: certo non è sempre facile creare spettacoli belli, ma non potremmo mai sottovalutare l’aspetto terapeutico in favore di quello artistico. Davanti al “disagio” credo si debba partire necessariamente dalle persone con le quali si ha a che fare: non si tratta di un teatro dell’attore, ma delle persone. Il problema maggiore in quest’ambito è dato dal fatto che generalmente si approcciano al disagio gli specialisti del teatro, che vogliono portare in scena un loro progetto artistico, indipendentemente dall’esigenza e dall’essere del soggetto/paziente/attore.

Qual è la poetica della compagnia?
Negli anni abbiamo sviluppato una poetica nostra: alla base c’è sempre un atteggiamento che parte dalle potenzialità degli individui.



Stefania Baldizzone e Paola Stella Minni

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