La rassegna D.a.N.z.A. Impronte di danza contemporanea del Teatro Testoni di Casalecchio si è chiusa domenica 18 maggio con lo spettacolo Sinfonia, firmato dalla coreografa Silvia Traversi. Con l'ultimo spettacolo si è realizzato l’obiettivo del curatore della rassegna di dare visibilità alle due giovani compagnie in residenza artistica presso il teatro casalecchiese, accanto a Fabrizio Favale/Le Supplici. Grande afflusso di pubblico, calorosi applausi. Nonostante il calore dell'accoglienza, l’occhio critico si distacca da tutto ciò e rifflette. Vediamo cosa sia accaduto sul palcoscenico quella domenica sera di pioggia. Lo spettacolo verte intorno alla seconda sinfonia del grande musicista tedesco Schumann. Ascoltando la musica, Traversi ha lasciato libero il suo flusso immaginativo e lo ha messo in scena. Sette danzatori impegnati in duetti, assoli, danze collettive, raccontano le solitudini, l'emarginazione sociale, le inquietudini amorose. Il terzo elemento scenico, forse, ma in rari momenti, il più convincente, erano le proiezioni video animate sulla parete di fondo. Il contrasto sul quale la Traversi ha voluto lavorare era tra la perfezione ‘geometrica’ delle proiezioni e il corpo umano con le sue manchevolezze. Come ha confessato all'incontro successivo allo spettacolo, l'idea era di interpretare le note di Schumann in chiave quotidiana, servendosi spesso di soluzioni ironiche, guidata dalla solenne “meraviglia dei corpi in movimento bagnati dalla luce teatrale”. Purtroppo, il risultato complessivo era soltanto l’effetto di un patchwork, di un prodotto confezionato senza alcuna impressione di una particolare urgenza creativa dell'autrice. Ogni movimento di Sinfonia mancava d'originalità: un clichè dopo l’altro che respingevano la nostra volontà di credere in quello che vedevamo. Qualcuno diceva che riconosceva momenti di Pina Bausch, altri di Martha Graham... Quel che sia, i quadri danzati non erano altro che immagini ripescati dalla memoria immaginativa della Traversi ancorata alla danza classica o, eventualmente, moderna. Non si condanna a priori la predisposizione a mischiare diverse tecniche di movimento ma ci si aspetta come minimo una originale analisi e combinazione di esse. La musica di Schumann, così potente e totemica, confermava paradossalmente la banalità delle azioni, la debolezza dell’aspetto drammaturgico. Mi chiedo fino a quando la giovane danza bolognese, e non solo, continuerà a scarseggiare con la fiducia in se stessa in modo sincero, cosciente e analitico, al corrente con le dinamiche di ricerca contemporanea e, più importante, con le esigenze del proprio pubblico. Credo che si potrebbe trarre un grande beneficio se i suoi coreografi iniziassero a collaborare con eventuali drammaturghi per consolidare, decidere, problematizzare un messaggio (non necessariamente narrativo) schietto e attuale, permettendosi un dialogo critico con il pubblico.
Tomas Kutinjač
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