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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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giovedì 28 febbraio 2008

Spegnere insieme 39 candeline

IL FESTINO, Emma Dante

Ancora una volta Emma Dante riesce a stupire il suo pubblico con ” Il Festino”, un monologo incentrato su due fratelli gemelli, entrambi molto malati: uno nel corpo, l’altro nella mente. Entrambi costretti a vivere nella menzogna e nell’indifferenza di una rigida società, che non lascia spazio alle diversità e che porta all’autodistruzione.

Inetto, solo, tormentato e malato: così si presenta Paride, il protagonista dell’ultimo capolavoro della regista palermitana Emma Dante, “Il Festino”, che affida la sua interpretazione a Gaetano Bruno, suo fedele collaboratore e storico componente della compagnia Sud Costa Occidentale.
E’il trentanovesimo compleanno di Paride e il palco dell’ITC di San Lazzaro è addobbato per la grande festa: palloncini e festoni colorati sono appesi ovunque eppure, sin dai primi istanti, non si respira un clima di festa. Non ci sono invitati e il festeggiato è voltato di spalle con indosso uno cappello scuro che gli copre tutto il viso, quasi non volesse mostrarsi o guardare, quasi fosse infastidito dalla presenza dello spettatore. Si avverte un clima piuttosto teso, che materializza lo stato d’animo dell’attore in scena.
Dopo un lungo momento di esitazione, Paride decide in un silenzio disarmante che ci lascia ancora una volta con il fiato sospeso, di guardarci finalmente in faccia e di mostrarsi per quello che è realmente.
Ci racconta di Iacopo, suo fratello gemello, morto in un incidente, con il quale Paride vive in simbiosi nel suo mondo immaginario.
Due fratelli identici, interscambiabili ed entrambi malati: uno nella mente, l’altro nelle gambe.
“Io sono il corpo, mio fratello la mente” afferma. Ci racconta di tutti i loro scherzi fatti e di tutte le volte che la mamma lo ha punito chiudendolo a chiave dentro lo sgabuzzino buio.
Un luogo che inizialmente intimorisce Paride, ma dove in seguito egli stesso impara a vivere una vita parallela, sognando e stringendo amicizia con le scope che dividono quello spazio chiuso con lui. Loro diventano le uniche amiche fedeli con cui confidarsi.
Durante il suo monologo Paride è pienamente consapevole della sua malattia e solitudine: infatti, più volte, indossa il nero cappello e si volta di spalle, quasi in segno di sottomissione e di vergogna per la sua condizione.
Ha paura che anche il pubblico lo rifiuti e si prenda gioco di lui, mentre nei nostri occhi c’è solo tanta compassione e affetto. Vorremmo aiutarlo, ma rimaniamo testimoni immobili del suo dramma.
Ecco finalmente il momento di aprire i regali: al centro del palco, un grosso pacco rosso lo attende. E’ da parte di suo padre ed è accompagnato da una lettera di auguri che Paride ci legge.
Tanti ricordi riaffiorano da quel momento in avanti e il suo senso di disagio e di rabbia si fanno sempre più forti.
Il padre vorrebbe impossessarsi della pensione di invalidità del fratello ma non conosce la verità, ossia che Iacopo è morto e che per una vita intera ha aspettato invano il suo ritorno a casa.
Ad un certo punto Paride scoppia in lacrime; non riesce più, e non vuole più, vivere dentro il suo mondo perché la delusione e il dolore sono ormai insopportabili e anche il suo mondo immaginario è diventato troppo difficile: decide allora che quel compleanno sarà l’ultimo che festeggerà.
Apre il regalo e trova otto scope colorate.
Quel palco si trasforma improvvisamente in quel vecchio sgabuzzino buio, ma questa volta non ci sarà nessuno ad aprire la porta. Le sue certezze divengono realtà, la fine di un incubo è ormai vicina.

Anima le scope, dà loro vita come faceva da bambino, balla con loro un cha cha cha, cerca di far camminare il fratello e di fare un ultimo ballo anche con lui poi,con desolazione e ferma decisione, inonda la torta di Ketchup e vi ci affonda la bocca.
Tutte le sue paure si spengono con quelle ultime trentanove candeline.
Un soliloquio perfetto che invita a riflettere e a ribellarsi a qualsiasi forma di violenza e di soprusi.
Uno spettacolo che vale veramente la pena vedere.

Alessandra Consonni

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