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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna.




giovedì 6 marzo 2008

Lorenzo Donati

Un testimone della Non-scuola

Quale è stato il tuo primo approccio al mondo del teatro?
Ho partecipato alla non-scuola ai tempi del liceo, già nel 1991. Ero curioso di capire, di conoscere il mondo del teatro: questo interesse l’ho avuto sin da piccolo (ho frequentato un laboratorio teatrale anche ai tempi delle scuole elementari). L’incontro con Marco Martinelli è stato tuttavia determinante: l’esperienza della non-scuola era un’attività laboratoriale un po’ corsara e un po’ clandestina, dal momento in cui dava la possibilità di “vivere” la scuola in maniera diversa e con un forte spirito di gruppo. Questo percorso clandestino della scuola creava una forte voglia di frequentare un teatro, per avere un approccio con esso anche dal punto di vista dello spettatore; fu così che iniziai ad assistere ad alcuni spettacoli presso il Teatro Rasi di Ravenna. Ricordo, in questo periodo, almeno due esperienze relative alla non-scuola: l’Orlando innamorato di Boiardo e alcune scene comiche al rallentatore con musiche di sottofondo. Riguardo alla seconda stagione del Teatro Rasi ricordo un Dialogo delle piante, spettacolo incentrato appunto su un dialogo tra il protagonista e alcune piante. In tutto questo mio percorso ha sicuramente avuto un ruolo determinante l’appoggio che ho avuto da parte delle mia famiglia.

Hai avuto modo di partecipare a spettacoli con il Teatro delle Albe?
Io ho partecipato solo alla non-scuola. Per non-scuola si intendono i laboratori organizzati all’interno delle scuole superiori. Da tre anni a questa parte all’interno della non-scuola è nato «Lo spettatore con il taccuino in mano»: si tratta di osservare gli spettacoli e discutere di ciò che si è compreso.

Che cos’è la non-scuola e cosa può rappresentare per un ragazzo?
Rappresenta indubbiamente il furore, la possibilità di esprimersi attraverso il teatro e l’irrequietezza dell’adolescenza. La non-scuola non è propriamente una scuola di teatro, non è un avviamento alla professione per il semplice motivo che il 98% dei ragazzi che vi partecipano non hanno mai fatto teatro né lo faranno mai. Alla non-scuola non si insegnano delle tecniche Gli spettacoli organizzati sono concepiti come un gioco, come eventi unici, nel senso che lo spettacolo dura solo un giorno e non si replica mai.

Come definiresti il fare teatro oggi? Pensi che il teatro possa avere un ruolo nella società di oggi?
Credo che il teatro abbia ancora una forza da preservare e da conservare. Uno dei suoi ambiti è raccontare una società e mettere l’uomo di fronte a se stesso; ma ciò molto spesso risulta essere un’utopia. Una cosa di cui sono profondamente convinto è il carattere minoritario di persone che si riuniscono e producono un pensiero sul mondo. Bisogna tener conto poi della condizione attuale nel dire che il teatro è un nucleo minoritario di persone ha ancora un senso.
Se pensiamo agli anni Settanta il teatro era vissuto da una larga fetta di popolazione, il teatro poteva dire la sua. In un’epoca come la nostra il teatro va visto in una prospettiva di alta responsabilità: da pochi a pochi. Costruire una rete piccola di persone che si rivolgano ad altri pochi; così facendo si finisce per pensare ai molti.


Antonio Guerrera

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