Sonate Bach, "Di fronte al dolore degli altri”: ogni giorno è una data della memoria
Virgilio Sieni dà voce al corpo: che parli delle macerie, delle bombe, della desolazione. La paura. Attraverso undici Sonate Bach, undici giorni di morte: la strage dello Jenin, di Sarajevo, Kabul, Tel Aviv, Srebrenica, lo sterminio di massa più sanguinoso dopo la seconda Guerra mondiale, Istanbul, Gaza, Beslan, Baghdad, Bentalha e Kigali. Senza criteri cronologici le date si succedono sullo sfondo, come se la morte non avesse dimensione temporale che la giustifichi. E’ solo morte. Fantasmi dagli abiti poveri, stinti dalla tristezza, nella nebbia ricompaiono, tornano sulla terra per sussurrare senza pretesa come dall’uomo siano stati traditi, scalzati lontano, scacciati come i cani scarni e fastidiosi del video di Adriano Sofri. Fluidi movimenti di quattro ballerini che si enucleano, si lasciano, si rimescolano per dar vita a nuovi grumi di dolore. E allora il palco diventa affollatissimo, omaggio, recupero di tutte le stragi avvenute. Braccia protese in cerca d’aiuto, gambe mutilate, girotondi di sconforto, fucilazioni, si sperimentano in un’area esclusiva, delimitata a rettangolo come lo schermo della tv, da cui sappiamo ormai assistere al sangue divertiti, allietati da note “andanti allegre” di un pianoforte e di una viola da gamba che si accordano sul “la”. Anche per dire il dolore serve armonia. Dignità. Per non spaventarci troppo? E’ una superficie piatta, senza alcuno spessore di vita quella su cui danzano i morti, e quella verso cui guardiamo, compiaciuti di esserne al di qua. Pesante denuncia di anti-moralità, per chi ha permesso tutto il male e per chi, Di fronte al dolore degli altri, si è ancor più cullato nelle proprie candide certezze. E tu, spettatore, cosa applaudi?
Cecilia Martinelli
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