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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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giovedì 17 aprile 2008

I pericoli e la forza di una mancanza

CREST, Il deficiente
Gaetano Coltella e Gianfranco Berardi raccontano la cecità tra luci e ombre

Il deficiente è chi ha un deficit e per tutta la vita si ritrova a sopportare il peso della differenza e dell’emarginazione. Ma cosa succede quando colui che ha una mancanza diventa colui che, strumentalizzando tale mancanza, si impone violentemente sugli altri in base al postulato “Chi ha bisogno comanda”? Lo spettacolo di Gaetano Colella e Gianfranco Berardi, vincitore del Premio Scenario nel 2005, si basa sulla demolizione del pregiudizio e del senso comune che vengono rovesciati e relativizzati a partire dalla riflessione sulla cecità e da un’indagine sui vari livelli di sensibilità e violenza a essa collegati.
Nella casa di un cieco e dei suoi due fratelli, le cui abitudini sono impostate sulle necessità del primo, arriva un quarto personaggio che, con la sua presenza, altera gli equilibri portando la situazione, già di per sé molto fragile, al totale collasso. In questo contesto la cecità viene rappresentata come uno strumento di potere spesso violento ma anche come la possibilità di un diverso modo di rapportarsi al mondo.
In una stanza-abitazione delimitata da tre parapetti neri che definiscono il perimetro dello spazio scenico agito, si sviluppano i vari conflitti dello spettacolo. Il testo è ricco di ironia e di giochi linguistici basati sulle molteplici sfumature del campo semantico della vista. Molto interessante è anche il doppio magnetico del testo parlato: alcune cassette registrate di cui si sentono degli spezzoni, testimonianza di una realtà precedente a quella rappresentata, più serena e in cui la convivenza dei tre fratelli doveva essere ancora pacifica.
Non ci sono personaggi principali o secondari poiché tutti gli attori in scena sono buoni e cattivi, onesti e vendicativi, deficienti e sani. Il culmine viene toccato quando i due fratelli decidono, per vendicarsi di Omar (il cieco), di indossare delle mascherine scure che li rendono non vedenti così da poter fronteggiare, ad armi pari, lo strapotere acquisito dal fratello grazie al suo handicap. Alla sovrapposizione di diverse cecità si vanno ad affiancare, allora, diverse sensibilità e violenze, dimostrando quanto possa essere potente la rabbia e quanto possa rendere crudeli l’impotenza. Quella tra vista, sensibilità, deficienza e crudeltà è un’equazione interessante egregiamente sviluppata dagli autori del testo.
In alcuni momenti lo spettacolo risulta trascinato: i tempi di reazione degli attori sono piuttosto lenti, soprattutto se accostati ad altri momenti di effervescenza incontrollata. Probabilmente, però, anche questi rallentamenti corrispondono all’intento primo dello spettacolo: rendere lo spettatore partecipe di uno stato in cui è difficile orientarsi e adattarsi, in cui tutto si dilata e in cui, ai normali tempi di reazione di una persona non-deficiente, si devono sommare quelli di comprensione e di ambientamento di una persona priva del beneficio della vista.
Ne Il deficiente il limite viene trasformato in un potenzialità piena di contraddizioni, invitando a riflettere sulle proprie deficienze sensoriali ed emotive, sull’aggressività latente che ha sede nella mancanza e su quanto la mancanza stessa, così come il dolore, sia uno dei pochi elementi che ancora rifuggono alle classificazioni e alle disuguaglianze.

Nicoletta Lupia

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