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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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mercoledì 20 febbraio 2008

Intervista a Scena Verticale

INERVISTA A SCENA VERTICALE,

Scena Verticale è una compagnia nata nel 1992 a Castrovillari (CS) grazie all'incontro di Saverio La Ruina e Dario De Luca, con l'inserimento nel 2001 di Settimio Pisano. Da sempre la loro ricerca è volta a portare una ventata di modernità nella difficile realtà calabrese sia con un lavoro teatrale che innesta su valori e simboli dialettali le esigenze e le problematiche del contemporaneo, sia con un'opera di promozione di nuovi linguaggi scenici attraverso l'ideazione e l'organizzazione del festival Primavera dei teatri. In occasione della presentazione dello spettacolo Dissonorata abbiamo chiesto a Dario De Luca di parlarci della loro esperienza, con particolare riferimento a quest'ultimo lavoro grazie al quale hanno meritato i premi Ubu 2007 come migliore attore (a Saverio La Ruina) e come migliore novità italiana.

VINCERE, BISSANDO, IL PREMIO UBU CON UNO SPETTACOLO IN UNO STRETTISSIMO QUANTO MUSICALE DIALETTO CALABRESE. RIVINCITA DELLA DRAMMATURGIA MERIDIONALE?
Non credo si tratti di una rivincita della drammaturgia meridionale, quanto piuttosto di un premio che arriva a una costanza da parte di Scena Verticale di provare a 'imporre' una lingua non solitamente praticata nel teatro italiano, anzi spesso motivo di pudore e vergogna per i teatranti calabresi. Scena Verticale ha pensato, fin dall'inizio del suo viaggio nel teatro, che, invece, il proprio dialetto potesse essere una lingua di forte espressività e di grande musicalità, lontana da quella usata dai cabarettisti e anche abbastanza specifica perché deriva dalle origini calabro-lucane di Saverio La Ruina e si avvicina per alcuni dittonghi anche al cosentino. L’uso del dialetto si è modificato di volta in volta nei diversi spettacoli, fino a Dissonorata in cui prevale un dialetto molto arcaico. In La stanza della memoria si tratta dell’idioma di un’area geografica molto vasta, non riferibile a un territorio specifico ma alla Calabria in generale. In De-viados la transessuale protagonista si esprime nel dialetto cosentino e i rapporti – quindi anche i dialoghi - con i suoi genitori sono costruiti come una partitura musicale, tentando di restituire attraverso le sfumature dei suoni ad esempio la dolcezza materna inserendo parole in labiale o lo scontro con il padre con parole gutturali, che restituiscono proprio musicalmente l'idea della cattiveria, della mancata accettazione di una realtà dei fatti.
In Kitsch Amlet il dialetto utilizzato risulta invece molto contaminato, traendo spunto dallo slang dei giovani, quindi ‘imbastardito’ dal linguaggio dei nuova media e per questo a volte anche molto divertente e di grande impatto.
In effetti, provando a fare un affresco della situazione teatrale italiana, ci si accorge subito dello strapotere drammaturgico di un meridione che usa coraggiosamente la sua lingua, che non è più solo quella napoletana che ha sempre vinto su tutti, ma ritorna di grande 'moda' anche il siciliano, affiora il calabrese con Suriano, con Scena Verticale , e ci sono anche delle situazioni pugliesi molto forti.

LA GRANDISSIMA PRESENZA DI GIOVANI AUTORI MERIDIONALI CHE HANNO FATTO DEL DIALETTISMO O COMUNQUE DELLA APPARTENENZA TERRITORIALE UNA NUOVA POSIZIONE DRAMMATURGICA, È DA CONSIDERARE PIU' UN FENOMENO O UNA NUOVA ESIGENZA DI FUNZIONE, DI COMPETENZE DEL TEATRO?
Secondo me è un fenomeno che deriva dall'esigenza dei singoli artisti di trovare la propria strada. È come se in questo momento ci sia, non tanto e non solo un ritorno alle radici, ma un modo più vero di esprimere la propria arte, il proprio pensiero teatrale e il modo di stare in scena riappropriandosi anche della proprio lingua. Da parte nostra e di molti teatranti dell'ultima generazione, c'è anche il piacere della verità in scena, una verità che si ritrova nelle sonorità della terra d’origine, dell’ infanzia. Poi tutto questo diventa anche fenomeno culturale quando critici e studiosi danno forma agli eventi storici incanalandoli ed etichettandoli, ma indipendentemente dalla volontà degli artisti.
D’altra parte è anche vero che la tradizione teatrale italiana è fondata proprio sull’uso del dialetto, basti pensare a Eduardo, allo stesso Pirandello che inizia il suo percorso scrivendo in siciliano, testimoni insieme a molti altri delle grandi possibilità offerte da questa tradizione di ‘lingue italiane’.

QUAL E’ L'IMPORTANZA DEL FESTIVAL 'PRIMAVERA DEI TEATRI' IN UNA REALTÀ TEATRALE COMPLESSA ED EMARGINATA COME QUELLA CALABRESE?
Il festival Primavera dei teatri è nato nel 1999 ed è stato interrotto solo nel 2004, quando per i soliti problemi istituzionali non si è riusciti ad organizzare un’edizione soddisfacente. Tali problemi sono di fatto tutt’ora presenti e nonostante il festival sia cresciuto e sia diventato punto di riferimento per le giovani generazioni, per gli operatori teatrali del meridione, per le compagnie che intanto sono nate in Calabria, nonostante il pubblico in aumento, l'attenzione degli operatori e dei critici, le istituzioni rimangono sempre poco attente, miopi e superficiali, anche quando è già stato promesso un sostegno.
Fortunatamente nel nostro caso è la stessa compagnia che lavora nel festival quindi, anche quando la risposta per un finanziamento arriva davvero ritardo, in tempi scoraggianti per altri, riusciamo comunque a ottimizzare il lavoro anche in un periodo breve, soprattutto perché il nostro pensiero rimane vivo tutto l’anno tenendoci costantemente informati sulle novità e tessendo fili e rapporti con la speranza di ottenere poi appoggi finanziari. Ciò che dispiace e fa male è il trovarsi sempre alla mercé di regione e istituzioni poco attente, che non permettono di lavorare con la serenità che ci si può augurare.
Nonostante tutto questo il festival rimane per noi una roccaforte solidissima con cui siamo riusciti a creare qualcosa di davvero importante nella nostra terra affrontando la delicata sfida di portare il nuovo, il contemporaneo in un ambiente sempre fuori da certi circuiti. Questa scommessa sembra vinta o, perlomeno, in questo momento riusciamo a tenerla alta anche osando e lasciando ampio spazio alle nuove proposte, alle giovani compagnie, arrivando anche ad ospitare nomi poco noti che poi tornano da grandi star, pur nella loro straordinaria semplicità: mi riferisco ad esempio ad Ascanio Celestini, o ai Motus per i quali Castrovillari è tutt’ora l’unico posto della Calabria in cui si sono fatti conoscere, anche grazie ai nostri laboratori. Parte fondamentale della sfida di Primavera dei teatri è stata infatti la scelta di creare dei laboratori, inizialmente incentrati esclusivamente sul lavoro dell’attore, in modo da stabilire un rapporto molto stretto fra giovani del luogo e le compagnie che presentavano i loro spettacoli all’interno del festival, dando vita a una fucina per le nuove generazioni e a un piccolo tessuto intorno al festival che continua a rinnovarsi ogni anno, anche con proposte diverse, parallele che vanno dalla fotografia di scena alla promozione del teatro sul web.
Determinante per il nostro lavoro è infatti creare un vero e proprio sistema teatrale intorno alla nostra attività perché solo questo, nella forma del festival, delle attenzioni da parte degli operatori, degli studiosi e dei docenti universitari, può proteggere ciò che a fatica riusciamo a creare.

TECNICAMENTE 'DISSONORATA' È UN MONOLOGO, UNA STRUTTURA DI CUI OGGI SI FA MOLTO ABUSO, NEL SENSO CHE A VOLTE VIENE CONFUSA CON LA PERFORMANCE CHE NON PROVIENE DA UNA ELEBORAZIONE DRAMMATICA PROPRIAMENTE DETTA. PER QUANTO RIGUADA 'DISSONORATA' SI PARLA DI UN MONOLOGO IN QUANTO ESIGENZA STRUTTURALE E DI SIGNIFICATO, OPPURE HA AL SUO INTERNO UNA MATERIA ANCORA PIU' COMPLESSA IN CUI SI ESPLICITANO LE FUNZIONI DRAMMATURGICHE , QUINDI CHE VANNO AL DI LA' DELLA STRUTTURA MONOLOGO?
Dissonorata nasce spontaneamente come monologo. In parte si tratta anche di una scrittura ‘a tavolino’, con una lingua che ci appartiene al punto tale che non diventa mai artificiosa e con una costruzione che comunque risente sempre enormemente della partitura, come d’altronde è avvenuto finora per tutti i nostri testi. Ogni nuovo lavoro è sempre pensato e poi subito ‘masticato’ sulla scena. Questo fa comprendere lo scarto fra il lavoro di Saverio La Ruina per Dissonorata e quello dei numerosi narratori italiani che sono proliferati negli ultimi tempi: Saverio non è né un narratore né un performer, dal momento che, costruendo il personaggio di Pasqualina, non racconta da esterno e da estraneo cosa è accaduto a questa donna-pastorella calabrese, ma incarna interamente. Il premio Ubu deriva quindi proprio dalla straordinaria prova di attorialità e non di affabulatore sempre uguale a se stesso: quando stasera Saverio calcherà la scena vi basteranno pochi minuti per dimenticare che chi vi parla è un uomo.

Elisa Cuciniello e Maria Cristina Sarò

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