Il vecchio e il nuovo, l’inizio e la fine, Beckett e Rem e Cap che si incontrano per raccontarci “Altri giorni felici”, così lontani e vicini allo stesso tempo.
Una confessione, un omaggio, forse il rito di un passaggio…ricordi che riaffiorano confusi, conservati in una ormai affaticata, ma lucida mente, che li raccoglie per conservarli in un barattolo e consegnarli a chi sta nascendo e prenderà il suo posto.
“Altri giorni felici” è il nuovo, e mi ha lasciata la sensazione che sia l’ultimo, spettacolo della storica coppia romana, Claudio Remondi e Riccardo Caporossi, pilastri della ricerca teatrale italiana.
Questo spettacolo, ispirato al testo Giorni felici di Beckett, la definirei un’autobiografia della loro storia teatrale e della loro sensibilità artistica, che molto deve all’universo beckettiano. “Giorni felici” fu il primo lavoro che misero in scena all’inizio della loro avventura teatrale negli anni ’70, ma non fu mai rappresentato a causa del rifiuto, da parte dei possessori dei diritti, di concederne il permesso.
A Rem&Cap non manca certo l’inventiva! Dopo trentacinque anni, facendo scacco matto alle pratiche legali, riescono non solo a portare in scena un lavoro di Beckett, ma a rimanere fedeli al loro particolare modo di scrivere la scena teatrale, trasformando e plasmando gli oggetti affinché si riconosca la materia di partenza, ma vi si veda altro, si aggiungano altri significati.
Questa volta Remondi è sul palco con un giovane attore, Davide Svignano, mentre Caporossi disegna una raffinata regia, che cristallizza un luogo ai confini del tempo e dello spazio.
Ora le parole inondano la scena, si rincorrono, si ripetono, esitano e tornano a strabordare. Azioni minimali e asciutte, e non manca il protagonista di tutti i loro spettacoli, il silenzio. Remondi, seduto in una sorta di girello, si ritrova allo stesso tempo bambino e anziano, a metà fra il suo cappello e le sue scarpe, e sfilando e infilando le chiavi nei tanti fili della sua vita, apre e fa fuoriuscire pezzi di ricordi. Una larva fetale al di sotto, vi si nutre.
Nel secondo atto, Remondi parla e ascolta, come il vecchio Krapp di Beckett, la sua voce registrata, con le spalle agli spettatori…e poi lentamente con passo umile e stanco esce dalla scena.
Saula Nardinocchi
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