Valter Malosti e Michela Lucenti rivisitano Disco Pigs, spettacolo dell’autore irlandese Enda Walsh.
Utilizzano il testo come una traccia, stravolgendone il contesto, creando un’opera post-moderna, eludendone il realismo per trasformarlo in un incubo espressionista, nonostante emani una riconoscibile quotidianità. La scena si svolge su una piattaforma rettangolare, la pista di una discoteca, ma anche un vero e proprio palcoscenico in cui i personaggi si muovono con il volto coperto da maschere suine che ci riportano alla commedia dell’arte.
Due adolescenti, nati lo stesso giorno, crescono, inseparabili, in una periferia degradata. E’ il giorno del loro diciassettesimo compleanno, tutto sta per cambiare.
Il silenzio della sala buia è immediatamente interrotto da un “parto” psichedelico in cui le urla dei due neonati, Porcello e Porcella, si uniscono a quelle delle loro madri, un travaglio che durerà per tutto lo spettacolo, attirando magneticamente, mettendo la sala “sottovuoto” e restituendo solo qualche secondo dopo la fine il respiro agli spettatori.
Uno stato confusionale avvolge il racconto che i due giovani gridano come attraverso uno schermo televisivo, unico metro di misura che scandisce il tempo della loro crescita. Con orgoglio e ribrezzo mostrano la loro realtà, la periferia del mondo, la “porca città”. La violenza li rende forti, il morboso sentimento reciproco li fa sentire sicuri, la musica assordante e l’alcool li stordiscono per salvarli dalla disperazione, le luci abbaglianti scendono su di loro come catene di questa condizione.
Luci e parole si fondono in un turbine di sensazioni allucinatorie, e si legano al linguaggio del loro corpo, una sfrenata danza senza fine, esibita con grave leggerezza dalla danzatrice Michela Lucenti in perfetto stile Pina Bausch ; danzano la curiosità e la smania di essere venuti al mondo, la gioia di essere insieme l’uno per l’altra, re e regina, l’emozione di scoprirsi adulti nell’unione sessuale, e infine danzano la paura e la consapevolezza di essere rimasti soli. Danza anche la morte, metafora di ciò che sono, che siamo, di ciò che è dentro ma sta per esplodere.
Nell’unico momento riflessivo in cui si rompe l’incantesimo delle luci e della musica, attraverso un sogno, Porcella ritrova la realtà; è cresciuta e si scopre a desiderare qualcosa di diverso per se stessa, per il suo futuro. L’atto di violenza finale è la goccia che fa traboccare il mare di disgusto in lei, fugge per non tornare, per essere finalmente libera.
I secondi passati dal momento in cui si sono spente le luci al primo applauso mi sono sembrati minuti, un silenzio di approvazione forse, o forse no, di liberazione per chi è tornato a respirare chiedendosi, “perché non ci ho pensato prima?”.
Valentina Arena
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