In Brickland, il nuovo spettacolo di Constanza Macras presentato al Teatro Comunale di Ferrara, si viaggia nelle periferie recintate dei nuovi ricchi, in una felicità all’aroma di Prozac, perennemente in attesa dell’esplosione di qualcosa
Nuovi territori, luoghi senza identità, spazi dell’apparenza e della vacuità esistenziale: scenari disneyzzati della globalizzazione sorgono alle periferie cittadine come ridenti quartieri residenziali, recintati dal filo spinato dello status di appartenenza, ghetti per una middle class sempre più alla ricerca di una sicurezza che l’apertura dei confini internazionali ha corroso. Paradisi protetti dalla miseria e dal degrado, protetti dalla vita, quella reale. Costanza Macras porta sul palco del Comunale di Ferrara un’oasi artificiale: un’insegna luminosa ci indica il nome: “Brickland”, terra dei mattoni. Brickland non a caso è un quartiere alle porte di Buenos Aires, terra d’origine della coreografa, ma potrebbe essere ovunque. Ville lussuose, allarmi high-tech, la serenità di un bagno in piscina nelle giornate di sole. Non è gradito il disturbo, non è gradita l’immondizia, niente problemi: solo felicità e dosi di Prozac!
Frenetico disordine, promiscuità e manifesta sessualità, satira sociale, parodia del consumismo moderno, tragici individualismi, smarrimento per la perdita dei rapporti umani e scenari kitsch investono letteralmente lo spettatore, trascinandolo in un vortice centripeto ritmicamente convulso. Significazione esasperata che sfocia in isterismo comunicativo. Un boccascena che bombarda con musiche dal vivo e suoni, video installazioni e danze, scenografie elaborate e costumi appariscenti: una teatralità eccentrica estrosa e violenta, in cui movenze contact si coniugano con un plurilinguismo che caratterizza gli stereotipati personaggi.
Brickland è un esasperato microcosmo di cliché attinti dalla cultura trash pop e glamour, dissacrati in giochi di humour e grotteschi immaginari, nei quali non è poi così arduo riconoscersi.
Il sipario è aperto, la scena un cibernetico quadro surrealista. Nelle due ore concitate, durante le quali sono quasi assenti tempi morti grazie all’alternarsi di situazioni corali e scene introspettive, succede di tutto. I danzatori, pedine di un preciso disegno registico, corrono e si lanciano su scivoli e rampe metalliche, si arrampicano e cadono, lottano tra loro, interagiscono con la scenografia e con i musicisti, anch’essi parte del gioco scenico. Non danzano molto, ma lo fanno come si deve. Cantano, recitano, fanno sorridere il pubblico parodiando l’attualità, le fiction televisive, i musical. I personaggi sono individualità esasperate del terzo millennio: l’immobiliarista in tailleur nevrotica e depressa, l’etnologo tedesco perso nelle sue elucubrazioni “post post post”, la bionda e fatale casalinga annoiata, l’uomo della security tutto muscoli e niente cervello, l’orientale isterica che in un rap aggressivo rivendica il diritto di non essere chiamata “Cin Cin”. La repressione e la noia si trasformano in violenza e perversione: i personaggi lottano e fingono rapporti sessuali tra loro e con gli oggetti. Finché la scolaretta, una ragazza viziata e abbandonatasi forse all’alcol o alle droghe, si lascia possedere da un uomo. Atto di pedofilia che sarà punito dal “servetto” nero, l’uomo statuario. Marinella Guatterini parla di una caduta di stile della Macras, la quale, secondo il parere della critica, ridicolizza gli stereotipi ma ne è a sua volta innocente vittima: l’uomo bianco è il cattivo capitalista, l’uomo nero è il povero buono e giusto. Ma la scelta della coreografa argentina è consapevole e mirata: vuole denunciare la ghettizzazione delle comunità borghesi residenziali, che del senso novecentesco di comunità non conservano più nulla.
“Sono un pesce d’allevamento che nuota nella sua stessa merda”, piagnucola la bambolona bionda, prototipo della desperate housewife: la vediamo correre, nel video proiettato, fra le ville di “Brickland”, con un lungo abito da sera fucsia e il trucco sbavato: immagine emblematica della sua depressione da telenovela.
Macras mette in scena l’ipocrisia di un micro-mondo perfetto, dove uscire dalla vita vera significa creare solitudine. La comunità è congelata in una fotografia ansiogena per la sua perfezione, sotto le note imponenti dei Carmina Burana. S’illumina l’insegna: tutto questo è ”Brickland”!
Irene Di Chiaro e Paola Stella Minni
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