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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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lunedì 23 giugno 2008

Intervista a Adriana Borriello

Una chiacchierata con Adriana Borriello, coreografa e danzatrice nello spettacolo Chi è devoto


Lo spettacolo pone una domanda: “dove stiamo andando?”. E offre subito una risposta: “sempre verso casa”.
Venendo dall’esperienza della danza mitteleuropea, mi sono orientata verso ricerche antropologiche, in particolare verso le tradizioni popolari italiane. Questà curiosità è stata provocata dalla domanda che mi pongo costantemente: che senso ha fare questo lavoro oggi? Dall’altra parte, tornare verso casa è inteso come riscoperta di radici della danza. Ho cominciato a ricercare l’etnocoreologia studiando i riti di tutto il mondo. Le analogie che ho scoperto nei meccanismi rituali di diversa provenienza, mi hanno portato verso casa. Ho lasciato Avellino a quattordici anni. Verso casa è quindi tornare verso le proprie radici, verso l’intimità.

Il tuo lavoro si basa, sintetizzando, sullo studio del rapporto tra movimento e musica.
L’inizio del mio percorso è stato sicuramente dedicato allo studio del rapporto danza-musica. Come interprete riconoscevo subito un’identità tra i due linguaggi. Più tardi la ricerca si è ovviamente ampliata, approfondita. Nel momento in cui ho aderito alla ricerca etnocoreologica ed etnomusicologica, mi sono sorte domande filosofiche oltre alla danza. Ho abbracciato sfere che appartengono al quotidiano, alla vita intesa come flusso analogamente al movimento, al suono e alla coreografia come modalità di organizzazione di un flusso continuo. A quel punto per me era ovvia la relazione tra corpo e suono come identità. Questa ricerca è partita a metà degli anni novanta e nel ‘97 abbiamo prodotto la trilogia Tammorra, Kyrie e Animarrovescio insieme a Francesco De Melis, lo stesso compositore di Chi è devoto.

Che rapporto ce tra musica e corpo in Chi è devoto?
In questo caso i due linguaggi sono un tutt’uno. Nell’idea di devozione ce l’idea di offerta di se a tutti livelli. Questo non e necessariamente legato al concetto di religione ma è un modo di relazionarsi alla vita. In questo senso il corpo è suono, in quanto vibrazione, in quanto un modo di relazionarsi con l’altro. Oggi non ricordiamo più che nelle culture arcaiche non si trattava solo della comunicazione tra esseri umani ma anche con l’universo, con tutto quello che può essere riconosciuto al livello vibratorio. Questo attiene al corpo quanto al suono.

In quale misura sono presenti il rito e la tradizione?
La tradizione italiana meridionale è presente in quanto pretesto culturale e in quanto specifica della relazione tra il paganesimo e la religione. Scavando nei riti devozionali dell’Italia meridionale, sono rimasta stupita profondamente dal cognugamento tra l’aspetto erotico pagano e l’aspetto castigato cattolico. Nelle ricerche che ho fatto sul campo e attraverso i libri ho scoperto che ce stato un periodo nel quale la chiesa ha cercato di sopprimere gli aspetti pagani dei riti popolari. Ma non ci è riuscita perchè questi erano troppo radicati nel popolo. Allora li ha contenuti, debellati, come ha fatto con il tarantismo abbinandolo al culto di S. Paolo, relegandolo in certi giorni dell’anno in modo da controllarlo. Quindi nonostante tutto, l’Italia ha mantenuto l’identità pagana. Inoltre, il taglio dello spettacolo è estremamente rituale, ovvero ricalca la struttura formale del rito. Il lavoro è impostato come una lunga processione divisa in stazioni. Con gli interpreti è stato un lavoro di spogliazione di stili, personali e culturali condivisi, con l’obbiettivo di giungere a una dimensione intima con il movimento. Si trattava di ricongiungersi al movimento organico, nel senso puro del termine, che è il fondamanto del movimento nei riti. Quindi un attitudine rituale verso il proprio corpo. Ce una struttura formale coreografica scritta che ogni volta viene rivissuta, riattualizzata.

Lo spettacolo è composto da frammenti o quadri visivi. Si tratta di stazioni della processione di cui hai parlato prima?
Esatto. In tal senso si possono riconoscere dei quadri ma in un flusso continuo. Ce un filo logico non narrativo ma sicuramente evocativo. Con noi in scena ce Giovanni Coffarelli, contadino e venditore ambulante vesuviano nel quale gli etnomusicologi riconoscono l’ultimo esempio vivente dei stilemi arcaici del canto popolare campano. Giovanni è stato presente quasi in ogni tappa del mio percorso antropologico. Lui è il vero devoto, veramente imbevuto in quel contesto, portatore dell’autenticità di quel universo. É uno dei personaggi principali dello spettacolo, oltre a due madonne e sei personaggi che rappresentano l’umanità in oscillazione tra la tensione verso il divino e quella verso gli inferi.

Tomas Kutinjač

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