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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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sabato 15 marzo 2008

La rinascita dall'improvvisa fuga

LEONCE E LENA, fragili e preziosissimi, con malati psichiatrici ex lungo degenti
di Lenz Rifrazoini

Il teatro dei laboratori DMS si veste di un insolito nitore rispetto alle sanguigne tonalità delle poltrone e al caldo legno delle pareti; indossa questo nuovo abito per ospitare la compagnia Lenz Rifrazioni, che presenta, a partire da un adattamento drammaturgico di Francesco Pititto, “Leonce und Lena”, opera di George Büchner al quale Lenz dedica, con il sul lavoro e l’intensa attività laboratoriale, uno studio con ex lungo degenti psichiatrici affiancati da attori professionisti. Tutti sulla scena con parrucche bianche e viso incipriato, a richiamare il clima ottocentesco nel quale si svolge l’azione. Coppie di Leonce e Lena sedute frontalmente lungo i bordi della scena, mentre due figure a bordo campo con parrucche nere e chiodo in pelle, armeggiano con formiche giganti e orridi serpenti di gomma. Stringendo al petto delle grosse bambole di pezza, retaggio d’infanzia, Leonce e Lena parlano, portando nel loro parlato tutte le difficoltà della loro condizione; è così che il copione, oggetto bandito dalle scene se non in occasione delle prove, diventa ora preziosissimo; ognuno ne ha bisogno non solo per sopperire alle prevedibili difficoltà insite nel processo di memorizzazione delle battute o del testo, ma perché memoria concreta di ciò che sono in quel momento; non più persone con gravi patologie fisiche e psichiche, ma solo due giovani ribelli che, per sfuggire l’orribile abisso di un futuro del quale non sono padroni, cercano la fuga dalla costrizione e finiscono per scegliersi; ma questa volta liberamente, senza il giogo della predeterminazione, solo sospinti dal vento del caso fortuito, e come sempre accade, dalle illogiche ragioni dell’amore. I nostri Leonce e Lena sono fragili, e per questo preziosissimi; scaraventati nel mondo, usciti come da un grosso buco nero che li ha violentemente travolti nel proprio flusso gravitazionale, risucchiati da un gorgo e provvidenzialmente salvati da chi, in quel gorgo, si è buttato con loro, ora finalmente trovano, nell’atmosfera nitida e pulita del teatro, un posto; proprio loro, che vengono da non luoghi, che hanno alle spalle una non storia, sprofondati nell’oblio della non identità, intimamente offesi dal rifiuto di una società che ha voltato lo sguardo altrove per non incrociare il loro, così vuoto e paradossalmente colmo di tutto; sulla scena di Lenz appaiono come tanti piccoli semi da curare, da seguire, per vederne spuntare un giorno un piccolo germoglio; la loro prima nascita non ha importanza; il senso è tutto qui, in una scena che li abilita ad essere, e straordinariamente anche ad essere “altro da sé”; due giovani, due innamorati, tutto quello che la vita non ha dato loro il permesso di essere; tutta la strada mai percorsa perché imprigionati in un labirinto infernale e con un fardello troppo pesante per consentire un cammino, comincia qui, sulle assi del palcoscenico, sugli zerbini verdi che diventano la guida al cammino. Una sola domanda finale per loro, ma forse, soprattutto per noi: “ E’ dunque così lunga la via?” da questa prospettiva pare di sì; è lunga, tortuosa, irta di difficoltà, di muri da abbattere…ma ha una sua bellezza.

Giusy Ripoli.

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