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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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Redattori: Beatrice Bellini, Lorenzo Donati, Alice Fumagalli, Francesca Giuliani, Maria Cristina Sarò

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Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna.




martedì 29 aprile 2008

Corpi sociali. Il teatro come diversità

Dagli anni Novanta del secolo scorso forme teatrali di ricerca esplorano le realtà del disagio sociale. L’handicap, la malattia, il carcere diventano spazi creativi per nuove dimensioni teatrali.


L’ideologia politica di denuncia si realizza secondo poetiche distinte nell’individualità d’ogni compagnia, in cui l’intento comune è quello di dar voce alla condizione muta dell’emarginazione sociale. In una società in cui dobbiamo sentirci conformi a un’estetica plastificata, il teatro attraverso la sua pura provocazione, propone una visione differente, un’estetica distorta di corpi imperfetti. Non esiste un concetto formale in cui classificare la diversità, bensì esiste l’incontro tra le diversità che riflettendosi l’una nell’immagine dell’altra si concedono la possibilità di non restare nel silenzio. In questi casi ci s’interroga sul ruolo del teatro: uso terapeutico del teatro o terapia teatrale? La terapia teatrale (arte-terapia) è praticata da quelle strutture che operano nel sociale allo scopo di educare e riabilitare i disabili attraverso il teatro; l’uso terapeutico del teatro, invece, è l’azione benefica del fare teatro, attraverso l’integrazione e l’interazione tra persone diversamente abili e non, inseriti in un comune terreno di ricerca e di fonte creativa, dove la terapia è implicita al processo, consentendo un re-inserimento nel sociale e una ri-acquisizione percettiva del corpo. Quest’ultima considerazione è ciò che caratterizza l’attività teatrale di compagnie quali Vi-kap, Lenz Rifrazioni, Gli amici di Luca, (alcune forme di teatro sociale diverse nel tipo di disagio che presentano) che considerano fondamentale all’interno del gruppo l’aspetto della relazione e della condivisione. Il laboratorio, presente in ognuna delle realtà teatrali sopra citate, è necessario al fine del progetto artistico, è dalla relazione tra le diversità che avviene l’esperienza in sé attraverso l’espressione del sé. L’immediatezza spazio-temporale del “qui e ora” del laboratorio consente attraverso tecniche d’espressione corporea, quali l’improvvisazione, di liberarsi dagli automatismi della quotidianità restituendo una fluidità alla meccanica del corpo, ma anche d’abbandonarsi a quella spontaneità che, priva di mascheramenti, svela il volto autentico dell’identità attraverso il lavoro su se stessi.
Cos’è il teatro se non l’utopia di conseguire attrraverso azioni efficaci un autentico mutamento?
In questi termini il teatro diventa evoluzione, poiché non limitandosi alla finzione consente di cedere al rischio di essere svelati, di mettersi a nudo facendo crollare ogni difesa e ogni distacco.
Cos’è la diversità se non una dichiarazione d’appartenenza all’esistenza?
La storia rende individuabili i reali fautori della follia, una storia di violenze e repressioni causate per paura del diverso: neri diventati schiavi, omosessuali incarcerati o uccisi, disabili psichici torturati nei manicomi, disabili fisici considerati come freaks. Ripercorrere queste tappe squalifica ogni accusa di tipo etico rivolta al teatro delle diversità, nonostante la sua forte presa di coscienza sia analoga a quella crudeltà intesa come determinazione che Artaud ci ha insegnato a perseguire.
E’ tempo che lo spettatore diffidi dal pregiudizio perché commuoversi significa muoversi insieme nella spietata ironia di un disagio comune.
Basta con la paura del teatro come diversità o della diversità, perché se il teatro è il doppio della vita, allora è anche l’unica libertà che possediamo ancora in pugno.

Stefania Baldizzone

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