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Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


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mercoledì 23 aprile 2008

I dubbi del dubbio

Storia di una replica domenicale dove ai dubbi sollevati dallo spettacolo, si aggiungono quelli sull’atteggiamento di un pubblico stranamente “effervescente”che dà spettacolo di sé e delle proprie abitudini teatrali.
In una primaverile domenica pomeriggio, la sala grande dell’Arena del Sole è gremita e vociante; clima “effervescente” per Il dubbio, regia di Sergio Castellitto, con Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi. Silenzio e buio calano all’improvviso sul pubblico ancora scomposto; in molti si affrettano, inciampando tra le poltroncine nel buio pesto della sala. Nessuno vuole perdersi l’apertura del sipario, che mostra uno Stefano Accorsi nelle insolite vesti di sacerdote per lasciarlo, un attimo dopo letteralmente… in mutande. Si apre così Il dubbio di John Patrick Shanley, testo ambientato nel 1964 che affronta diversi e scottanti temi: i rapporti gerarchici all’interno della chiesa post Concilio Vaticano II; gli atteggiamenti di scherno e isolamento tra adolescenti – antesignani dei più attuali fenomeni di bullismo – le complesse quanto dolorose realtà domestiche; abusi e violenze – o supposti tali – all’interno della chiesa; i dubbi di coscienza che affliggono anche chi, come i religiosi protagonisti della storia, possono contare sull’incrollabile fede in Dio e sull’altrettanto incrollabile(ma sarà davvero così?) fede nelle proprie certezze. La storia: in una scuola americana degli anni sessanta, retta dalla rigida e arcigna suor Aloysa - vittima e carnefice allo stesso tempo - la presenza del giovane padre Flynn, socievole e carismatico sacerdote che inaugura un nuovo approccio con gli allievi basato sul dialogo e sul rapporto umano, porta in breve tempo a un completo sovvertimento delle regole della scuola, e altrettanto velocemente fa scivolare padre Flynn nella vergognosa accusa di abusi sessuali sull’unico allievo di colore dell’istituto. Catalizzatore della tragedia, la gioiosa quanto incerta suor James, che per insicurezza e timore reverenziale nei confronti della temibile priora trasforma un proprio dubbio – tempestivamente scacciato dalla sua mente dopo un pudico eppure inammissibile sfiorarsi della mano con padre Flynn – nella certezza assoluta dell’altra, che dà il via all’azione fino all’esito finale della “promozione” di padre Flynn a rettore di un altro istituto e successivo trasferimento. In questo caso, si può veramente sostenere che il titolo dell’opera è quanto mai comprensivo di tutti i suoi significati, perché tanti sono i dubbi che questo spettacolo instilla. Primo: il sacrosanto quanto prevedibile dubbio che tormenta la vecchia priora dopo che – per sua stessa ammissione - riesce ad allontanare padre Flynn dall’istituto attraverso mezzi leciti e illeciti. In secondo luogo, il dubbio sul pubblico dello spettacolo; la sala è gremita, gli applausi sono scroscianti e talvolta(il più delle volte) inopportuni e fuori luogo, le risate a bocca larga, ampiamente percepibili anche dalla galleria, sono addirittura sguaiate e tristi, perché esplose in momenti altamente drammatici dove, forse, all’immagine di un disperato Accorsi che, nella solitudine di uno spoglio giardino viene ferocemente tormentato dal gracchiare insistente di un corvo, nella mente del pubblico si sovrappone il suo scanzonato volto ai tempi della reclame che lo rese famoso( “two is meglio che one” ammiccava il sorridente Accorsi a due avvenenti fanciulle in bikini)… cosa scatena questo atteggiamento nei miei vicini di poltrona? forse un sentimento di bonario campanilismo verso un giovane bolognese che dalla pubblicità è approdato al cinema e poi addirittura a teatro? forse il fascino della sua vita parigina? forse è un modo di reagire alla sonnolenza che le abbuffate domenicali portano inevitabilmente con sé? Se si tratta di questo, consigliamo caldamente di alleggerire la portata dei pasti, soprattutto con l’avvicinarsi della calda stagione. Ancora sul pubblico. Osservo una situazione anagrafica stranamente eterogenea: è evidente un netto distacco tra il “pubblico degli abbonati”, la cui età media si aggira sui sessantacinque anni circa, e quella di diverse “teen ager” visibilmente spaesate e poco avvezze alla frequentazione del teatro, agghindate a loro modo, da grande soirée, forse nella vana speranza di poter accedere ai camerini di Stefano per sommergerlo di abbracci e farsi firmare l’autografo. Il dubbio: saranno rimaste deluse dalla presenza fisica di Accorsi, che tutto sommato è poco alto, mediamente robusto e tanto, tanto stempiato? terzo dubbio: ma il moderno galateo non contempla che sia da maleducati scattare foto con i cellulari nel bel mezzo dello spettacolo? allora perché questi signori avvezzi al teatro, che tutto sembrano tranne che pionieri della tecnologia, si lanciano in “paparazzate” furiose con il cellulare ultimo modello? perchè la distinta signora seduta alle mie spalle urla dal fondo della galleria “Bravi!!!!!!!!”, facendo involontariamente il verso a quel corvo che prima aveva fatto tanto ridere? Dubbi che, tuttavia, non mi hanno distolta dallo spettacolo; abbastanza convincente Accorsi, malgrado il rigore del teatro e del suo ruolo gli tolgano la freschezza che mostra al cinema; aspra e penetrante la voce di Lucilla Morlacchi, il tono austero, la forza, quasi la ferocia, con la quale stringe al petto il suo crocifisso nei momenti di maggiore difficoltà, ma soprattutto in quelli di più umana ira; essenziali le scelte registiche di Castellitto, dalle ambientazioni cupe e rigorose, con cambi di scena a vista eseguiti da un nugolo di suorine silenziose e la presenza di pochi oggetti a significare il cambio di luogo e talvolta addirittura la presenza di altri personaggi sulla scena(come nel caso del dialogo tra padre Flynn e i suoi ragazzi – sedia); bella la colonna sonora, che ci regala straordinari pezzi di Bob Dylan. Malgrado le due ore e un quarto di spettacolo, forse troppo repentino e sotterraneo il terremoto che scuote il tran tran del grigio istituto; l’ultimo dubbio: che ciò non sia dovuto a scelte registiche o interpretazioni del testo più o meno felici, ma che talvolta, basti veramente un gesto creduto innocuo per scatenare la tragedia e instillare nella mente il dubbio.

Giusy Ripoli

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